L’Oca in Cucina
Si può preparare in molti modi.
Ti parliamo dell’Oca in Onto e del ‘falso parsuto’.
Un Piatto Tradizionale del Veneto è anche l’ “Oca in Onto” un Presidio Slow Food
Un tempo nelle campagne venete si allevavano oche rustiche dette bigie -Grige- oppure Pezzate grigie e Bianche,
nel tempo rimpiazzate dalle grandi e più produttive Romagnole bianche.
Con le Oche si producevano Salumi e Prosciutti (i parsuti, in dialetto veneto ) – soprattutto dove erano presenti comunità ebraiche –
e, in tempi più recenti, anche il Paté di fegato.
Utilizzando tutte le parti del volatile ( come fosse un maiale, piume incluse) si realizzava una particolare conserva
: l’Oca in Onto, adatta a conservare le carni molti mesi. Perchè tra i Pregi della nostra Oca c’è anche la durata di conservazione,
dettaglio da non trascurare nell’epoca Pre-Frigorista.
Il Maiale dei ‘poveri’
La preparazione ricorda ciò che in Francia viene definito confit . Quella dell’Oca in Onto era una produzione invernale
che occupava i tempi morti della pausa stagionale per preparare derrate sostanziose da consumare poi in primavera ed estate.
Ai primi di novembre, per San Martino, si macellavano e si consumavano le prime Oche.
Ma San Martino era – ed ancora oggi è – la festa di chiusura dell’Annata Agraria, il momento in cui venivano fatti i conti con il padrone della proprietà e in cui si festeggiava un’eventuale buona annata.
Si chiudeva la partita del ‘contratto’, si tiravano le somme: a credito o a debito.
Questo momento venivo celebrato con piatti a base di maiale e di Oca, il “maiale dei poveri”.
l’Oca de San Martin
Nelle campagne Venete prima dell’industrializzazione l’11 novembre coincideva con la fine del contratto lavorativo dei contadini e se il padrone del podere non chiedeva al mezzadro ed alla sua Famiglia di rimanere anche l’anno seguente, ( o il mezzadro stesso non avesse trovato un ‘contratto’ più favorevole) questi dovevano traslocare e cercare un altro padrone/podere , con altro alloggio etc etc.
Anche nelle città divenne abituale cambiar casa proprio a San Martino, perciò “fare San Martino” diventò un modo di dire.
Inoltre, il periodo di penitenza e di digiuno che precede il Natale cominciava proprio il 12 novembre e San Martino era quindi una specie di capodanno contadino ( dei poveri mezzadri, più precisamente ) nel corso del quale si festeggiava con una grande mangiata d’Oca.
Un’antica tradizione
La tradizione di cibarsi dell’Oca nel giorno dedicato a S. Martino affonda le proprie origini nei secoli. L’oca costituiva, nei tempi, assieme al maiale, la riserva di grassi e proteine. Durante l’inverno il contadino si cibava comunemente solo di cereali e di tanta polenta.
Dagli Egiziani e passando per Omero, l’Oca fu sempre allevata come allegro compagno d’infanzia e come guardiano
(le famose oche del tempio della dea Giunone nel Campidoglio).
In quei tempi le Oche erano ingrassate con fichi secchi provenienti dalle regioni del sud per rendere il fegato bello grasso. I romani chiamavano “iecor” il fegato e “iecor ficatum” quello grasso, da cui deriva l’italiano “fegato”.
I barbari, che saccheggiarono Roma nel 390 a.C. sotto la guida di Brenno, consideravano il palmipede simbolo dell’aldilà e guida dei pellegrini, ma anche Grande Madre dell’Universo e dei viventi. La zampa dell’Oca era usata come “marchio” di riconoscimento dai maestri costruttori di cattedrali gotiche che si chiamavano “Jars”, che in francese vuol dire appunto Oche. L’oca era presente, anche nel periodo medioevale, nei monasteri e nelle famiglie dei contadini, come da precetto di Carlo Magno.
L’Oca nella cultura ebraica
A favorirne la diffusione furono – attorno al 1400 – alcune comunità ebraiche di rito aschenazita provenienti dall’Europa del Nord che si stabilirono nelle regioni settentrionali della penisola e quindi anche nel Veneto ed in particolar modo a Venezia erano presenti da tempo immemore.
Non potendo consumare carne di maiale per motivi religiosi, i loro macellai preparavano deliziosi salami e prosciutti d’oca.
L’oca era, infatti, il cibo prediletto dalle famiglie Ebraiche anche sul finire dell’Ottocento.
Dalla Tradizione celtica, l’11 novembre, entrò a far parte anche delle feste cristiane ed in particolare con la ricorrenza di S. Martino. La leggenda racconta, infatti, che Martino, nonostante l’elezione a furor di popolo a Vescovo di Tours, non voleva abbandonare il saio e cercò di nascondersi, ma furono proprio le Oche a stanarlo e così
divenne vescovo e poi Santo per la sua bontà nei confronti dei poveri.
La nostra amata Oca, nei periodi di grande povertà e fino ai primi del Novecento, fu anche moneta / mezzo di scambio.
Con lei fittavoli e mezzadri pagavano ai proprietari terrieri una parte del dovuto, oppure si recavano al mercato e scambiavano le oche con altri beni.
La Ricetta
Tornando alla Ricetta dell’ Oca in Onto, chiamata anche Oca in Pignatto, ossia cotta in pignatte di coccio dove poi vi restava fino al consumo,
le nostre vengono separate dalle loro parti grasse e tagliate a pezzetti. Le carni riposano sotto sale per alcuni giorni oppure sono cotte con erbe, aromi e un poco di vino rosso e, successivamente, si ripongono direttamente in un orcio di terracotta o vetro.
Nella versione cruda si alternano pezzetti di carne a grasso d’oca fuso e foglie d’alloro, nella versione cotta invece si completa l’ultimo strato con il grasso fuso e si chiude il vaso.
La lavorazione in Onto consente una lunga conservazione delle carni che durano in questo modo tutto l’inverno e, volendo, anche un paio d’anni. Al momento del bisogno si estrae dall’orcio la quantità di oca che serve e la si cuoce in casseruola per servirla come sugo o come secondo piatto.
È ottima con la salsa di cren o kren, ( una preparazione con Radice di Rafano gratuggiata a crudo e quindi affogata in aceto di vino ) con le patate o la peperonata, e, in ogni caso, con la polenta e accompagnata a un buon vino Rosso Veneto.
L’Oca oltre il riconoscimento di Presidio Slow Food sta raccogliendo sempre più entusiastici consensi dal mondo della critica gastronomica e da molti chef importanti del Veneto e non solo.
Il simbolo dell’oca in Veneto è certamente Michele Littamè, un vulcano di idee che ha creduto in questo allevamento e che ha studiato la tradizione antica e l’ha fatta rinascere per la gioia dei gourmet.
Ma anche di molte famiglie che non ne consumavano più negli ultimi anni. Michele Littamè ha portato l’oca nelle tavole dei migliori ristoranti e propone un eccezionale e golosissimo hamburger – l’oca-burger – che è una specialità 100% veneta.
Tutti i prodotti di Michele Littamé sono macellati direttamente in azienda con procedura manuale. In modo tale da garantire la qualità del prodotto, rispettando tutte le normative igienico sanitarie previste dalla legge Italiana ed evitare stress ad un Bellissimo animale.
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